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Vita di scuola. Scuola di vita
Ai ricordi dell’autore, legati alla sua vita “nella scuola” dal 1950 al 2011, prima scolaro, poi studente, poi insegnante, infine preside, si intrecciano quelli legati alla sua prima infanzia e fanciullezza, in anni difficili, alla fine e subito dopo la seconda guerra mondiale, poi alla giovinezza e alla maturità, anch’esse in anni non privi di problemi.
Via via che passa il tempo e il suo modo di essere “nella scuola”, i ricordi si fanno più netti e lo scavo nella memoria più preciso e senza remore. La piccola storia individuale si incontra con la grande Storia, lasciando spazio ad esperienze e riflessioni personali, particolarmente sull’ambiente scolastico e i suoi protagonisti.
2021, pp. 360
17,10€
Giuseppe Spatola –
Leggere “Vita di scuola. Scuola di vita” ti fa riprovare lo stesso sottile piacere che si avvertiva partecipando alle lezioni del suo Autore. Con quello stesso stile, lieve ed ironico, con cui ha fatto amare la Letteratura a generazioni di studenti (ma le ha anche plasmate come uomini e donne) ora parla di sé, della sua famiglia, delle persone incontrate, dei luoghi in cui ha vissuto, della scuola… Ma, così come accadeva in classe, con quella commistione virtuosa che rende viva la Poesia e lirica la Vita, sullo sfondo ci sono i fatti della grande Storia che, talvolta, prorompono in primo piano e, soprattutto, c’è la Poesia, mai separata dalla vita reale, anche quella delle piccole cose quotidiane. Non si esagera paragonando questa autobiografia ad una antologia letteraria, sia pur non cattedratica, perché non c’è snodo emotivo che non sia accompagnato da versi pertinenti. Dellepiane racconta e si racconta, anche nell’intimo, rivelando risvolti che possono risultare inediti, ma sempre senza alcuna ostentazione, con costante autoironia ed anticonformismo, costringendo a riflettere sulla scuola, sulla vita, sull’essere figlio, padre e marito; ruoli su cui, con struggente autocritica, si interroga, si confessa, ponendoli a confronto con i suoi ruoli professionali. Ma se su questi ultimi decisamente si assolve, il giudizio su di sé, come figlio, padre e marito, è sospeso ed aleggia, malinconicamente, un senso di colpa ed un profondo desiderio di espiazione o, quantomeno, l’angosciosa ricerca di un’umana, familiare comprensione. Perché, in fondo, in quel kierkegaardiano percorso alla rovescia, fu vittima (come egli stesso narra, in un estremo e commovente tentativo di autoriabilitazione) di una “tempesta ormonale in ritardo, in cui convergevano sesso, romanticismo, orgoglio, trasgressione, confusione tra letteratura e vita…”